C’erano una volta redazioni piene di fumo e idee, popolate da lynotipisti, correttori di bozze, praticanti, giornalisti. La colonna sonora era il ticchettio delle macchine da scrivere, il trillo dei telefoni e le urla del direttore o del capo redattore. Un piccolo mondo chiuso e fascinoso su cui troneggiavano alcuni “maestri”, irosi quanto eccentrici. Era il giornalismo “vecchio stile”, un ambiente fortemente maschilista e picaresco che aveva come motto — gli stipendi erano buoni, talvolta ottimi — “scrivere è sempre meglio che lavorare”…
Poi, dagli anni Ottanta ad oggi, tutto è cambiato e lentamente il giornalismo si è trasformato in un mestiere normale, persin banale. Di quel tempo lontano rimangono in circolazione alcuni “monumenti” come Livio Caputo, Giampaolo Pansa, Enzo Bettiza, Vittorio Feltri e pochi altri. I giovani di allora, come chi scrive, sono solo dei testimoni (a volte un po’ irriventi, ma come non sorridere nel ricordare manie e tic dei nostri stravaganti e geniali “mentori”?)